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Job hopping: sfida o opportunità per le aziende?

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Lente d’ingrandimento su un annuncio di giornale con la scritta “Job Hopping”, concetto del cambio frequente di lavoro.

Nel mercato del lavoro odierno, segnato da una crescente domanda di competenze e da un’evoluzione tecnologica rapidissima, la “guerra dei talenti” è diventata una priorità strategica per le imprese.

Attrarre i migliori professionisti è solo il primo passo: la vera sfida è riuscire a trattenerli. In questo scenario emerge il fenomeno del job hopping, ovvero la tendenza a cambiare lavoro frequentemente per cogliere nuove opportunità. Ma per le aziende, è una minaccia da contenere o un’occasione di rinnovamento? 

In questo articolo analizzeremo cause, dinamiche e impatti del job hopping offrendo anche spunti pratici su come valorizzare e fidelizzare i cosiddetti “job hopper”.

Cos’è il job hopping e perché se ne parla oggi

Con job hopping si intende la tendenza a cambiare lavoro con una certa facilità e a intervalli di tempo relativamente brevi.

In passato era un comportamento associato a pochi settori, tipicamente l’ambito digitale, dove l’alta domanda di competenze tecnologiche e la carenza di profili qualificati hanno permesso ai professionisti di cambiare ruolo con agilità ottenendo condizioni via via migliori.

Negli ultimi anni, il job hopping è arrivato anche in Italia. Secondo un’indagine ANPAL, il numero di persone che hanno cambiato lavoro almeno due volte in 24 mesi è cresciuto significativamente: dai circa 2,35 milioni di casi del biennio 2015-2016 si è passati a oltre 2,8 milioni nel 2020-2021 (+20%). 

Questo aumento non si spiega solo con motivi economici. Anzi, per molti giovani lavoratori italiani il job hopping è soprattutto una risposta a un basso livello di coinvolgimento e a una generale insoddisfazione verso la propria azienda. 

Da notare che la scarsa motivazione non sempre sfocia immediatamente nelle dimissioni. A volte si manifesta con il fenomeno del quiet quitting, ovvero il limitarsi a fare il minimo indispensabile senza più entusiasmo o impegno. Questo comportamento “silenzioso” segnala un calo di coinvolgimento e può essere il preludio all’uscita effettiva dall’azienda se le cause non vengono affrontate. 

Professionista con tablet e laptop mentre valuta nuove opportunità di carriera, simbolo del job hopping nel mondo digitale.

Cause e dinamiche del job hopping tra i più giovani

Un certo grado di ricambio del personale è fisiologico in ogni organizzazione, ma il job hopping riflette un cambiamento più profondo nel modo di concepire la carriera, in particolare tra le nuove generazioni. 

L’ingresso nel mercato del lavoro dei Millennial prima e della Gen Z poi, ha accelerato la diffusione di questo fenomeno, anche complice un clima economico incerto che ha minato le vecchie sicurezze. 

Per molti giovani, infatti, la stabilità occupazionale non è più la priorità assoluta. Millennials e Gen Z tendono a dare più importanza a fattori come la flessibilità organizzativa, le opportunità di crescita professionale, un migliore equilibrio vita-lavoro e, soprattutto, l’allineamento con i valori aziendali

Entrambe le generazioni condividono l’idea che nulla sia garantito e che, per costruire una carriera soddisfacente, occorra muoversi con agilità, cogliendo le migliori opportunità quando si presentano. Da qui deriva l’attitudine a cambiare spesso lavoro, non per scarsa lealtà o impegno, ma per cercare un contesto più in linea con le proprie esigenze professionali e personali.

L’ambiente di lavoro, insomma, conta enormemente. Queste generazioni non esitano a lasciare un impiego se il clima è tossico o se l’azienda non mostra attenzione per il loro benessere e sviluppo.

Un altro elemento distintivo è l’attenzione ai valori, all’etica e all’impatto sociale dell’azienda. I giovani valutano la missione del datore di lavoro, l’impegno verso la sostenibilità e la posizione su temi sociali.

Vantaggi e svantaggi del job hopping

Per i lavoratori

Dal punto di vista di chi lo pratica, il job hopping può offrire notevoli vantaggi di carriera. Cambiare spesso azienda permette di accelerare la crescita professionale. Infatti si possono ottenere avanzamenti di ruolo più rapidi rispetto a chi rimane a lungo nella stessa posizione. 

Spesso ogni cambiamento porta con sé anche un aumento retributivo e contrattuale, ma i benefici vanno oltre lo stipendio. Esporsi a organizzazioni, team e metodologie diverse consente di acquisire nuove hard skill e soprattutto soft skill, sviluppando un’eccezionale capacità di adattamento. 

Un ulteriore pro è il potenziamento del network professionale. Ogni nuova esperienza amplia la rete di contatti e la visibilità nel settore, aprendo la porta a ulteriori opportunità in futuro. Infine, cambiando contesto più volte, il lavoratore ha maggiori probabilità di trovare l’organizzazione davvero coerente con i propri valori e aspirazioni, realizzando un migliore “matching” tra persona e azienda. 

Di contro, esistono anche svantaggi e rischi. Una carriera punteggiata da molti cambiamenti ravvicinati può far sorgere dubbi nei futuri datori di lavoro. Il candidato potrebbe essere percepito come instabile o poco leale, e l’azienda temerebbe un suo rapido abbandono dopo l’assunzione. 

Inoltre, passare rapidamente da un impiego all’altro rischia di impedire la costruzione di competenze approfondite o di relazioni professionali durature in un singolo contesto.

Per le aziende

Anche le organizzazioni sperimentano effetti contrastanti a causa del job hopping diffuso. Dal lato opportunità, un mercato del lavoro più fluido significa che le aziende possono a loro volta attrarre nuovi talenti in modo più rapido, spesso pescando professionisti qualificati dalla concorrenza. Un individuo che ha cambiato diverse realtà porta con sé un bagaglio di esperienze diversificate, idee fresche e best practice apprese altrove. Integrando questi profili “itineranti”, l’azienda può beneficiare di competenze nuove e di una certa versatilità. I job hopper sono abituati ad adattarsi, a imparare in fretta e a navigare il cambiamento, caratteristiche preziose in contesti dinamici.

Inoltre, la competizione per trattenere i talenti ha un effetto collaterale virtuoso: costringe le imprese a migliorare l’ambiente di lavoro, i processi HR e le politiche di people management per diventare più attrattive come datori di lavoro. 

Tuttavia, è innegabile che il job hopping ponga grandi sfide alle aziende. La più evidente è l’aumento del turnover e dei costi associati. Infatti, assumere e formare nuovi dipendenti di continuo comporta spese ingenti, oltre al tempo necessario perché ogni nuova risorsa raggiunga piena produttività.

Un elevato turnover può anche incidere negativamente sul morale del team e sulla cultura aziendale. Quando un collaboratore valido se ne va, soprattutto se è una figura chiave o molto stimata, può crearsi uno scompenso organizzativo: colleghi demoralizzati, calo di produttività e rischio di un effetto domino di ulteriori uscite. In pratica, si rischia di alimentare una spirale di disaffezione. Un sondaggio di Glassdoor ha rilevato che oltre la metà dei dipendenti (56%) individua in una cattiva cultura aziendale la ragione principale per lasciare un lavoro. 

Ciò significa che, se la frequenza di abbandoni aumenta, occorre interrogarsi sull’ambiente interno: i continui addii possono danneggiare l’employer branding e rendere più difficile attrarre nuovi candidati (nessuno vuole salire su una nave dove tutti scendono).

Candidati in attesa di un colloquio di lavoro, rappresentazione del fenomeno del job hopping tra giovani professionisti.

Come gestire i “job hopper”

Di fronte alla diffusione del job hopping, i dipartimenti HR devono adattare le proprie strategie sia in fase di selezione sia nelle politiche interne, per trasformare quella che potrebbe sembrare una minaccia in un vantaggio competitivo

Di seguito alcune linee guida per gestire, valutare e integrare al meglio i profili “job hopper”.

1. Selezione basata su competenze e potenziale

Quando si valutano candidati con molti cambiamenti all’attivo, è importante contestualizzare il loro percorso. Invece di scartarli a priori per le brevi permanenze, l’HR dovrebbe approfondire le motivazioni di ogni cambiamento: erano mosse da desiderio di crescita, fine di un progetto, problemi aziendali? Un colloquio attento può distinguere i cambi strategici da quelli impulsivi. 

Inoltre, conviene spostare l’attenzione dal mero elenco cronologico dei lavori alle competenze sviluppate in quelle esperienze. Un approccio in linea con il modus operandi delle Skills-Based Organizations aiuta a guardare al potenziale del candidato. Significa valutare ciò che sa fare davvero, le skill acquisite e trasferibili, più che la durata in ogni ruolo.

2. Onboarding e integrazione su misura

Una volta inseriti in azienda, i profili abituati a cambiare spesso vanno coinvolti rapidamente e in modo mirato. Un onboarding strutturato e incisivo è essenziale per farli sentire fin da subito parte integrante del team e della cultura aziendale

È utile assegnare a ogni nuovo assunto un tutor o mentor (magari un collega esperto) che lo accompagni nei primi mesi, favorendone l’integrazione e fornendo un punto di riferimento per domande o difficoltà. Allo stesso tempo, è importante chiarire prospettive e percorsi: discutere sin dall’inizio delle opportunità di crescita interne, di come la persona può evolvere e assumere nuove responsabilità in azienda. 

Questo aiuta a scongiurare la percezione, frequente nei job hopper, di dover guardare all’esterno per avanzare di carriera. Inoltre, si possono coinvolgere questi dipendenti in progetti sfidanti o trasversali fin dal principio, capitalizzando sulla loro esperienza diversificata e facendoli sentire valorizzati. Un feedback continuo nelle prime settimane, unito a momenti di confronto informale con i responsabili HR, consente di monitorare il loro livello di soddisfazione ed eventualmente correggere il tiro.

3. Costruire un ambiente dove valga la pena restare

Prevenire le dimissioni dei talenti è più facile se si investe in una solida strategia di employee retention. In pratica, significa costruire un ambiente in cui i dipendenti vogliono rimanere. Ecco alcuni elementi chiave su cui gli HR dovrebbero concentrarsi:

  • Sviluppo e crescita continua: offrire opportunità di formazione e avanzamento è fondamentale. Ciò include programmi di upskilling e reskilling, mentoring, piani di carriera chiari e mobilità interna. Quando le persone vedono che l’azienda investe sul loro futuro professionale, saranno meno tentate dal cambiare lavoro per progredire.
  • Cultura aziendale positiva e valori forti: una cultura inclusiva, rispettosa e coinvolgente è un potente collante. Ambienti di lavoro tossici o disfunzionali spingono rapidamente i talenti verso l’uscita. Al contrario, promuovere valori condivisi, comunicare con trasparenza e coltivare un clima di fiducia e collaborazione aumenta il senso di appartenenza.
  • Work-life balance e flessibilità: offrire flessibilità oraria, modalità di lavoro ibrido/remoto e in generale rispettare i tempi di riposo aiuta a prevenire burnout e frustrazioni.
  • Riconoscimenti e compensi equi: sentirsi apprezzati per il proprio lavoro è cruciale. Non si tratta solo di stipendio (che comunque deve essere in linea col mercato), ma anche di riconoscimenti formali e informali. Le aziende dovrebbero quindi implementare programmi di reward & recognition: bonus, benefit personalizzati, elogi pubblici per i risultati raggiunti, percorsi di carriera meritocratici. 
  • Employer branding solido: infine, HR e top management dovrebbero collaborare per costruire un employer brand forte. Un’azienda con reputazione di ottimo datore di lavoro non solo attrae più candidati di qualità, ma vede anche una maggiore fedeltà da parte dei dipendenti esistenti.

Il job hopping è una sfida per le organizzazioni tradizionali, abituate a carriere lineari e a una forza lavoro stabile. I frequenti cambi di impiego, soprattutto tra i giovani e nei settori più dinamici, costringono le aziende a ripensare strategie e politiche HR. Tuttavia, considerarlo solo una minaccia sarebbe limitante: può anche diventare un’opportunità per innovare, attrarre nuove competenze e creare ambienti in cui le persone vogliano davvero restare.
Con strategie mirate, dalla selezione basata sulle competenze a un onboarding curato e iniziative di engagement, le imprese possono trasformare il job hopping da problema a leva di crescita. Il ruolo delle HR è centrale: promuovere una cultura aperta, meritocratica e orientata al benessere, in cui la fedeltà non sia imposta ma naturale conseguenza di una employee experience ottimale.

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