Negli ultimi anni, il mondo del lavoro ha subito una trasformazione radicale. Non si tratta solo dell’introduzione di nuove tecnologie, del lavoro da remoto o dell’impatto dell’intelligenza artificiale: ciò che è davvero cambiato è il modo in cui le persone si identificano professionalmente. Sempre più individui scelgono di non legarsi a un’unica etichetta professionale, ma di costruirsi un’identità lavorativa molteplice, fluida, ibrida. Nasce così il fenomeno degli slash workers, professionisti che nella propria bio si definiscono, ad esempio, project manager / fotografo / formatore / content creator.
Per i dipartimenti HR, questo rappresenta una sfida, ma soprattutto un’enorme opportunità. Comprendere chi sono gli slash workers, cosa li rende unici e come integrarli efficacemente nelle organizzazioni può fare la differenza nella creazione di team agili, innovativi e capaci di adattarsi ai cambiamenti.
Chi sono gli slash workers (e perché il loro profilo non si adatta ai classici schemi)
Il termine slash worker nasce per descrivere una figura professionale sempre più diffusa ma spesso ancora fraintesa: quella di chi esercita più professioni in parallelo, indicate tipicamente con una barra obliqua (“/”) che separa i diversi ruoli. Ma ridurre lo slash worker a un semplice elenco di job title è riduttivo. Dietro quella barra obliqua si nasconde un vero e proprio paradigma professionale alternativo, che rompe con la narrazione lineare della carriera unica e verticale.
Queste non sono persone che, semplicemente, lavorano ad altro nel tempo libero. Non si parla di hobby monetizzati né di lavoretti saltuari. Gli slash workers esercitano più attività professionali a pieno titolo, spesso certificate da competenze, esperienze e risultati. Ciascuna identità lavorativa è autentica, strutturata e portatrice di valore.
Esempi concreti:
- Un recruiter / career coach / docente universitario che integra l’analisi del potenziale con l’orientamento professionale e la didattica accademica.
- Un ingegnere informatico / cybersecurity specialist / illustratore freelance che coniuga competenze tecniche con creatività visiva, magari progettando interfacce grafiche sicure e intuitive.
- Un copywriter / editor / formatore di public speaking che affina la comunicazione scritta, orale e formativa, offrendo un approccio integrato alla parola.
Questi profili non sono multitasker occasionali, né part-time che rincorrono la stabilità. Al contrario, lo slash worker costruisce una propria architettura professionale su misura, spesso con una logica sistemica: ogni identità arricchisce l’altra, generando contaminazioni virtuose.
Un’ulteriore distinzione va fatta rispetto ai freelance multitasking o ai gig worker: mentre questi ultimi rispondono a dinamiche di mercato che impongono frammentazione (spesso per necessità economica), lo slash worker sceglie consapevolmente di essere plurale, perché ha interiorizzato una nuova idea di lavoro basata su senso, flessibilità e apprendimento continuo.
Perché il fenomeno degli slash workers è in crescita
Sono molte le forze che stanno alimentando la diffusione di questo modello professionale:
- L’evoluzione tecnologica rende accessibili nuove competenze e strumenti, permettendo di formarsi e lavorare in settori prima lontani.
- La crisi del lavoro stabile ha scardinato l’idea di sicurezza legata a un solo impiego: oggi è più saggio diversificare anche per ridurre il rischio.
- La centralità della realizzazione personale ha spostato il focus dalla carriera al significato. Lavorare in più ambiti spesso significa coltivare diverse parti della propria identità. Ce lo insegnano bene coloro che si definiscono multipotenziali.
- La domanda di competenze ibride da parte delle aziende premia chi sa muoversi tra mondi diversi: i profili multidisciplinari non sono solo più ricchi, ma spesso anche più capaci di adattarsi all’imprevisto.
- L’impatto della cultura digitale e dei social media ha anche contribuito a sdoganare il concetto di “identità professionale multipla”, normalizzando il fatto che una persona possa essere più cose contemporaneamente, e comunicarlo con orgoglio.
Non sorprende quindi che il fenomeno stia coinvolgendo anche professionisti senior o profili manageriali. Sempre più dirigenti scelgono di affiancare al proprio ruolo executive attività come il mentoring, la divulgazione, la formazione o la consulenza strategica in altri settori. Essere uno slash worker non è sinonimo di instabilità, ma di complessità e proattività.
Cosa rende speciali gli slash workers (spoiler: non è solo la versatilità)
Gli slash workers non sono semplicemente “bravi in più cose”. Hanno caratteristiche che li rendono estremamente preziosi per le organizzazioni, soprattutto in un contesto di continua evoluzione.
Ecco alcune competenze distintive che li caratterizzano:
- Pensiero laterale e capacità di connessione: Avendo esperienze in ambiti differenti, gli slash workers sviluppano un pensiero flessibile, in grado di unire discipline, linguaggi e logiche anche molto distanti tra loro. Sono gli archetipi dell’interdisciplinary thinking, capaci di portare soluzioni creative in contesti rigidi.
- Gestione del tempo e delle priorità: Per necessità, affinano una notevole intelligenza organizzativa. Sanno come distribuire le energie, gestire progetti diversi e affrontare scadenze complesse senza perdere di vista la visione d’insieme.
- Adattabilità e resilienza: Sono abituati a uscire dalla comfort zone e affrontare mercati, pubblici e metriche diverse. Questo li rende più agili nei momenti di incertezza e capaci di evolvere insieme all’organizzazione.
- Competenze comunicative elevate: Passare da un ruolo all’altro richiede anche un’ottima capacità di adattare la propria comunicazione a diversi interlocutori, contesti e obiettivi.
- Alto grado di motivazione intrinseca: Molti slash workers non lavorano su più fronti per necessità economica, ma per una ricerca di senso, identità e realizzazione. Questo li rende spesso altamente motivati e autonomi.
5 consigli (non banali) per valorizzare gli slash workers in azienda
Molte aziende temono che uno slash worker sia “meno coinvolto” o “distratto”. In realtà, il loro coinvolgimento cresce quando si sentono riconosciuti nella loro pluralità. Ecco alcune strategie per valorizzarli al meglio.
1. Ripensare il concetto di job description
Le tradizionali job description sono pensate per incasellare le persone in ruoli ben definiti, con confini netti tra responsabilità, attività e competenze richieste. Ma con gli slash workers, questo approccio rischia di spegnere il loro potenziale anziché valorizzarlo. Questi professionisti portano in dote un’identità lavorativa articolata, spesso costruita in modo autonomo, e chiedono in cambio flessibilità, senso e possibilità di espressione.
Per questo, l’HR dovrebbe considerare un approccio più aperto alla definizione dei ruoli: co-progettare insieme al collaboratore una job description fluida, che si adatti nel tempo e che preveda margini per sviluppare progetti laterali o proporre nuove direzioni. Un buon modo per iniziare può essere quello di introdurre una sezione della job description dedicata a “potenzialità laterali” o “asset trasversali”, mappando così competenze extra-ruolo che potrebbero diventare nuove leve strategiche per l’organizzazione.
2. Creare spazi di contaminazione interna
Gli slash workers prosperano quando possono agire da ponti tra mondi diversi. Hanno una naturale inclinazione alla contaminazione tra competenze e settori, e il loro potenziale si amplifica quando vengono inseriti in contesti dove le loro diverse anime possono dialogare. Ma questo richiede un ecosistema aziendale che favorisca la circolazione del sapere, invece di compartimentarlo.
Un’azione concreta? Attivare laboratori interfunzionali, progetti trasversali o innovation hub interni in cui i team siano composti da profili con competenze diverse (anche non convenzionali) e dove gli slash workers possano agire da facilitatori. Oppure, promuovere momenti informali di confronto dove le persone possano raccontare il proprio “lato B” professionale. In molti casi, un’identità lavorativa “secondaria” può contenere competenze utilissime anche al core business aziendale, ma che emergono solo se si crea lo spazio per condividerle.
3. Prevedere percorsi di carriera non lineari
L’idea di carriera come progressione verticale è ancora dominante in molte aziende, ma gli slash workers la percepiscono come limitante. Crescere per loro non significa “salire di livello”, ma esplorare nuovi territori, ampliare le proprie sfere di impatto, misurarsi con sfide trasversali. Questo richiede che i percorsi di sviluppo siano modulari, flessibili e adattivi, e che riconoscano anche le esperienze extra-aziendali come parte integrante del percorso professionale.
Un modello interessante è quello del “career lattice” (anziché ladder), dove la progressione può avvenire in orizzontale, diagonale o per salti creativi, senza dover seguire tappe predefinite. L’HR può facilitare questo approccio mappando le carriere in modo più dinamico, valorizzando anche movimenti laterali, passaggi temporanei a progetti interni diversi, o “sconfinamenti” verso ruoli inconsueti. Questo tipo di flessibilità è un potente strumento di retention per profili ad alto potenziale ma scarsamente allineati ai modelli classici.
4. Valutare la performance con criteri personalizzati
Le performance review standardizzate possono diventare trappole per gli slash workers, perché spesso misurano produttività, risultati e impatto su assi rigidi e poco adatti a chi ha profili multipli o contaminati. Il rischio è che vengano penalizzati non perché meno efficaci, ma perché valutati con griglie inadatte alla loro specificità.
Un approccio più evoluto prevede l’adozione di sistemi di performance personalizzati, costruiti in collaborazione con la persona e orientati al valore generato, anche in forme meno visibili. Per esempio, l’apporto creativo in un team cross-funzionale, l’attivazione di sinergie tra dipartimenti o l’introduzione di nuove pratiche legate ad esperienze esterne possono essere tracciati e valorizzati. In molti casi, inserire indicatori qualitativi, oltre che quantitativi, permette di catturare meglio la portata trasformativa di un profilo “non convenzionale”.
5. Sostenere la loro identità multipla (anziché reprimerla)
Molti HR vedono ancora con sospetto le “attività secondarie” dei dipendenti, percependole come possibili fonti di distrazione o conflitto d’interesse. Ma con gli slash workers, questo atteggiamento rischia di alienare una parte importante della loro identità. Anziché reprimerla, l’azienda può scegliere di allearsi con questa pluralità, creando un ambiente psicologicamente sicuro dove parlarne apertamente e trasformarla in valore condiviso.
Questo significa, ad esempio, prevedere modalità per integrare i side projects (quando rilevanti) nella crescita professionale. Alcune aziende hanno istituito veri e propri programmi di “side project sharing”, in cui i dipendenti raccontano i propri progetti esterni e si esplorano sinergie con l’organizzazione. In altri casi, le esperienze esterne possono essere riconosciute come formazione informale o mentoring interno, valorizzando le skill acquisite in altri contesti. L’identità multipla, se sostenuta anziché ostacolata, può diventare una potente leva di innovazione, motivazione e appartenenza.
Gli slash workers sono la manifestazione concreta di un mondo del lavoro sempre più fluido, autodiretto e multidimensionale. Per i dipartimenti HR rappresentano una sfida entusiasmante: quella di andare oltre le etichette e costruire contesti dove l’unicità delle persone diventa un vantaggio competitivo. Chi saprà ascoltarli, accoglierli e valorizzarli non solo attrarrà talenti più motivati, ma costruirà un’organizzazione capace di apprendere, innovare e adattarsi in modo continuo.
Integrare efficacemente gli slash workers richiede una riflessione più ampia sulla cultura organizzativa. Le aziende che valorizzano questi profili sono quelle capaci di accogliere la complessità, promuovere l’autenticità e favorire modelli di leadership distribuita. Servono manager aperti alla diversità di pensiero, alla contaminazione e a percorsi non convenzionali. Servono ambienti che premiano il valore e non la conformità.
In un mondo dove la specializzazione non basta più, è nella pluralità delle identità professionali che si nasconde il vero potenziale trasformativo.